ADDIO ALLA SUORA DEGLI ANNI DI PIOMBO

 

 

 

CARCERELa piangono molti ex-terroristi, e solo chi non è mai stato in una galera può trovarci qualcosa di strano. Suor Teresilla, al secolo Chiara Barillà, è morta l’ altra notte a Roma, investita da un’ auto in via Ardeatina. Aveva 61 anni, era caposala nel reparto di chirurgia all’ ospedale San Giovanni Addolorata. Per decenni ha assistito, con brusca franchezza calabrese, detenuti di ogni provenienza. E, dagli anni Ottanta, ha cominciato a frequentare ex – terroristi. «Venne da me a Rebibbia nell’ 82 – ricorda Valerio Morucci, che era in carcere come protagonista del sequestro Moro – Venne per perorare la causa di un contatto fra noi e i familiari delle vittime. Questo era il suo obiettivo. E ci convinse, me e molti altri». Suor Teresilla, quando i brigatisti la «scoprirono», faceva questo lavoro da vent’ anni. «Era una che, a suo tempo, andava da Ghiani. Insomma, non è che avesse una preferenza per noi detenuti «politici». Lei non faceva distinzione», dice Morucci. Ma certo la sua missione, in quegli anni Ottanta, fu delicatissima. Teneva i contatti fra i brigatisti detenuti e alcuni esponenti democristiani, di primissimo piano: «Io non credo fosse una missione politica, la sua – continua Morucci – S’ era messa in testa di far sì che i dc potessero capire meglio quello che era successo. Anche la Dc era una nostra vittima. Mi fece conoscere Remigio Cavedon, che se non sbaglio era il vicedirettore del Popolo». E fu a Suor Teresilla che Morucci consegnò il suo memoriale – era il 1990 – perché lo facesse avere a Francesco Cossiga, presidente della Repubblica. Ma questo ruolo di tramite e messaggero, che pure le procurò qualche grana perché i magistrati si risentirono, non rende giustizia alla figura della suora. «Io la ricordo come una donna straordinaria, di profondissima umanità, una persona rara e, temo, insostituibile», dice Adriana Faranda, anche lei ex-brigatista. Non ha dimenticato il loro primo incontro: «Chiese di vedermi, e quando mi ebbe davanti chiese: “Ma tu sei Adriana?”. Sì, risposi, sono io. E lei: “Tutto qui? E io chissà che me credevo…”. una-storia-degli-anni-di-piombo-2-628x353 />Per dire che era anche dotata di un gran senso dell’ umorismo, e di una vitalità straripante. Una donna brusca, diretta, sincera, che non cercava simpatia. E proprio questo me l’ ha resa subito cara». Suor Teresilla è morta, investita da una Renault Twingo, mentre accompagnava un pellegrinaggio al santuario del Divino Amore. Era buio. Il guidatore s’ è fermato, ma non c’ era più nulla da fare. Morucci dice ancora: «è morta com’ era vissuta, sempre al lavoro. Lavorava sempre, non dormiva mai. Smontava dalla notte in ospedale, e invece di andare a riposarsi veniva in carcere. è morta di troppo lavoro come don Luigi Di Liegro, con cui aveva molto in comune». In quegli anni Ottanta la piccola suora calabrese cominciò ad allacciare rapporti fra i terroristi e i familiari delle vittime: «Fu un dialogo difficilissimo, quasi impossibile – racconta Morucci – Non è che si possa dire molto in questi casi. I familiari delle vittime cercavano ragioni di carattere morale che nulla avevano a che vedere con noi. Noi potevamo rispondere solo con enormi sensi di colpa. Ma il dialogo ci fu». Dice Adriana Faranda: «Cercava di avviare un percorso che, secondo lei, sarebbe stato un balsamo per le sofferenze di tutti. Una volta, quando io ero già uscita dal carcere, mi accompagnò fuori Roma a incontrare il fratello di una delle vittime di via Fani. Anche dopo che molti di noi erano tornati in libertà, lei cercava di ricucire le lacerazioni. Aveva una sua esigenza di verità, e ci si dedicava. Non cercava conversioni, non poneva condizioni, e non si scoraggiava di fronte a risposte negative». Lei e suor Teresilla erano diventate amiche: «La andavo a trovare in ospedale, ci fecevamo gli auguri per le feste». Morucci l’ aveva sentita tre giorni fa: «Era rimasta una profonda amicizia, che non aveva più nulla a che fare con il carcere. Era una persona che ti rimane come punto di riferimento». Con tanti terroristi detenuti ha avuto consuetudine. Una volta Alberto Franceschini, davanti alla Commissione Moro, dichiarò: «Io scherzando dicevo che era dei servizi segreti vaticani. Una volta lei mi disse: «Se hai qualcosa da dire, scrivilo e io lo faccio avere a chi di dovere, non star lì a dirlo a giornalisti e magistrati». Un «lavoro» che usciva anche da Roma e dall’ ambito brigatista: «Venne a trovarmi in carcere a Torino – ricorda Sergio Segio, ex-Prima Linea – accompagnata da Adolfo Bachelet, persona eccezionale. Suor Teresilla era molto simpatica, come spesso capita di trovare fra i religiosi. Attenta, capace di solidarietà, e non certo solo consolatoria. è stata una delle belle figure di quegli anni. Io apprezzavo il fatto che fosse un rapporto gratuito, lei non chiedeva e non giudicava. Una figura di riconciliazione, assai rara. Mi mancherà». Morucci, ricordando di Suor Teresilla «l’ estrema praticità, e la fede profonda, irremovibile», dice che lei rappresentava «la normalità del bene». Un bell’ epitaffio, da chi ha conosciuto la banalità del male.

 

 

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