L’emergenza del coronavirus e il vissuto profondo del trauma: verso la risoluzione del disagio psicologico

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                                                                                          Dove c’è pericolo, lì cresce anche ciò che salva

                                                                                                                     Friedrich Hölderlin

 

Sebbene il dolore sia una risposta naturale a qualsiasi separazione o perdita, a livello più profondo, il dolore è fondamentalmente un’esperienza interna, inevitabile e reale che gli esseri umani sperimentano a seguito di un evento doloroso o traumatico.

Nel momento in cui tale esperienza rimane nei limiti della normalità, il senso di perdita per esempio di una persona cara o significativa potrà essere naturalmente metabolizzato, ma quando l’evento o la situazione diventa surreale e arriva all’improvviso, inaspettata come quella che stiamo vivendo per via del contagio del coronavirus, supera i confini di quella che possiamo definire una “situazione stressante” o “traumatica”. Allora vengono sfidate le nostre capacità di far fronte alla sofferenza vissuta, sorprendendo le nostre difese e mettendoci davanti alla nostra impotenza. In realtà, nessuno di noi era preparato ad affrontare un’emergenza simile.

Ormai siamo tutti consapevoli che questo periodo difficile ma di necessario contenimento (lockdown, distanziamento sociale, protezione individuale, igiene, ecc.) per contrastare la diffusione del Covid-19 ci sta cambiando. In particolare, la quarantena è un grande trauma collettivo, che ha cambiato le nostre vite e sconvolto le nostre abitudini, il modo di lavorare e di passare il tempo libero, di viaggiare e socializzare. Un evento traumatico dunque che ha caratteristiche tali da interrompere la normale continuità di una vita fatta di sensazioni, odori, suoni, movimenti, relazioni… Si parla in realtà di un trauma che comporta una mobilitazione di risorse planetarie che si collocano lungo un continuum che va dall’individuo alla famiglia, alla comunità, a tutta la popolazione. Infatti, pandemia è un trauma del sistema, ovvero è il sistema che viene traumatizzato nella sua globalità.

Pertanto, in questa situazione emergenziale si viene sopraffatti dall’angoscia legata all’idea di malattia o di morte, per cui diviene difficile dare un senso al dolore provato per la perdita subita o l’esperienza traumatica e si passa così a una condizione di disagio psicologico. Se non elaboriamo almeno in parte il trauma di questo vissuto, se rimaniamo prigionieri dell’angoscia che tale esperienza scatena, la sensazione vissuta da dolorosa diverrà traumatica ed impoverirà la nostra vita, a tal punto, da farci apparire il futuro come inevitabilmente condizionato dal passato e la vita presente diventa in qualche modo prigioniera del passato. Quindi, il trauma non è solo qualcosa che torna dal passato, bensì condiziona anche il nostro avvenire. Possiamo dedurre allora che non torneremo facilmente alla normalità, anzi non ci sarà normalità alla quale ritornare!

Sostanzialmente nell’elaborazione del lutto il dolore è l’elemento distintivo e unico: esso è un processo di vita che richiede tempo. Il tempo del lutto è un tempo differente da qualsiasi altro momento della vita. Non è il passare del tempo che cura, ma quello che si fa con e nel tempo. Tuttavia, il lutto viene vissuto ed elaborato in tempi e modi del tutto personali, non esiste una maniera giusta in assoluto. Si deve pensare al lutto come a un processo che inizia, si sviluppa e si conclude; di conseguenza il dolore si attenua a poco a poco e la vita riprende, colmando i vuoti con nuovi compiti e nuove presenze. A tale riguardo, si è notato che con il tempo cambia il rapporto con il proprio dolore, aumenta la consapevolezza e la capacità di affrontare le esperienze dolorose o traumatiche.

Inoltre, nel percorso di elaborazione del lutto bisogna affrontare, oltre al vissuto di dolore anche un cambiamento generale connesso al trauma, che riguarda il cambiamento di processi organizzativi, di comportamenti, di mentalità, di valori, ecc… ricchi di significati simbolici condivisi.

D’altro canto, la crisi che stiamo attraversando, ci fa sperimentare in modo del tutto nuovo un senso di isolamento sociale che caratterizza la nostra esperienza e il nostro vissuto emotivo e psicologico, attentando peraltro al nostro pensiero di essere separati fisicamente e a vivere l’altro come una minaccia per la vita, l’altro è colui che contagia (la cosiddetta “ansia da untore”). Per di più, mai come oggi la paura del contagio e l’angoscia per la morte pervadono la nostra quotidianità, ad esempio, i malati di Covid-19 muoiono da soli, senza la possibilità di dare l’ultimo saluto ai propri cari.

Appare quindi evidente come gli effetti del trauma innescano una serie di adattamenti emotivi e cognitivi necessari per dare un senso all’evento critico. In particolare, esso ha un effetto disorganizzante e sconvolgente nella propria vita; una realtà che fino a quel momento era sicura e prevedibile va a pezzi e diventa improvvisamente caotica e potenzialmente minacciosa. Ragion per cui il mondo non è più degno di fiducia, ma è diventato un luogo in cui può succedere qualsiasi cosa, dove nulla avrà più lo stesso significato.

Al pari di altri eventi, l’evento improvviso, inaspettato come il coronavirus è paragonabile a una ferita, il cui processo di cicatrizzazione e di guarigione richiede tempo e fatica, un vero e proprio lavoro per poter tornare a vivere una vita sicuramente diversa da quella di prima e che, piano piano con il tempo, scopriremo comunque densa di valore se riusciremo ad integrare la perdita nella trama della nostra vita. L’elaborazione del lutto è un processo dinamico, caratterizzato da più fasi, la cui conclusione ottimale è data dall’accettazione della perdita subita, vale a dire riconoscere e accettare che le cose sono cambiate, ridefinire la propria identità e modificare la rappresentazione del mondo che si aveva fino a quel momento. Ciò significa che niente sarà più come prima neanche nel nostro psichismo.

Da queste considerazioni è facile pensare che se questa epidemia, da una parte, ci sta privando della libertà, della nostra individualità, rendendoci vulnerabili, dall’altra, la libertà verrà vista come espressione della solidarietà, della fratellanza, per esempio, o ci salviamo tutti o nessuno. Questo senso di identità sociale condivisa emerge dal fatto di sperimentare una minaccia comune e creare una risposta collettivizzata al coronavirus. Usando le parole di Papa Francesco possiamo dire che “Nessuno si salva da solo”. In pratica, gli effetti di questa situazione di crisi ci porterà a non avere più il mito di vivere per il successo, per il profitto… a farci capire che non possiamo risolvere il problema da soli chiusi in un egoismo individualistico, ma permetterà di focalizzarci sulla sostenibilità della dimensione umana, dando un senso alla nostra vita, riscoprire il valore della comunità e del senso di appartenenza, oltretutto ricercando il desiderio delle relazioni e quindi la socialità.

A cura del Prof. Francesco D’Ambrosio

 

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