Caporalato: lavoratori opifici cinesi pagati 1 euro al pezzo per prodotti Armani

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[14:55, 5/4/2024] Mario2: Milano, 5 apr. (Adnkronos) – Opifici-dormitorio abusivi. Sono quattro le strutture, per lo più a Pieve Emanuele (Milano), scovate dal Nucleo ispettorato del lavoro dove venivano realizzati accessori del marchio Giorgio Armani. Scoperta che ha portato il Tribunale di Milano a decidere per l’amministrazione giudiziaria (per un anno) della Giorgio Armani Operations spa, società industriale del gruppo di alta moda, con oltre 1200 dipendenti, che non avrebbe vigilato sulla filiera produttiva. Le descrizioni delle strutture sono, in gran parte, simili: un’area con i macchinari spesso privi delle misure di sicurezza per aumentare la produttività, una zona per consumare i pasti e un soppalco dove riposarsi prima di riprendere turni di lavori non rispettosi del contratto collettivo nazionale.

Nel decreto, che riporta alcune testimonianze, tra cui quello di una 22enne italiana, emerge come seppur i lavoratori “siano inquadrati per 4 ore giornaliere, sia verosimile che l’effettivo orario di lavoro sia di gran lunga superiore alle 4 ore giornaliere o alle 20 settimanali”. La stessa lavoratrice, sentita a verbale, conferma che, “seppur assunta formalmente per 4 ore giornaliere, in realtà lavora per 10 ore giornaliere dal lunedì al sabato”. I lavoratori sentiti dagli investigatori hanno riferito “di percepire dai 3 ai 4 euro l’ora”, un operaio ha raccontato di essere pagato a cottimo “da 0,50 a 1 euro al pezzo” e un titolare cinese ha sostenuto “di avere prodotto circa 1.000 borse dal mese di marzo 2023” e che li prezzo corrisposto dalla sua committente “per ogni borsa prodotta è di 75 euro”. Per la produzione di un singolo pezzo occorrono circa 3-4 ore e l’impiego di due operai.

Per i giudici, che hanno decretato l’amministrazione giudiziaria, negli opifici cinesi emergono “più indici di sfruttamento dei lavoratori”, diversi in condizione di clandestinità, e in situazioni abitative “degradanti, ricavate all’interno degli stessi luoghi di lavoro, con ambienti abusivi ed insalubri, pericolosi per la loro salute e sicurezza”. Vivendo nei dormitori “erano in sostanza sempre a disposizione del datore di lavoro e di fatto continuamente sorvegliati (in due laboratori era anche presente un impianto di videosorveglianza non autorizzato), con inevitabili riflessi negativi sul rispetto dell’orario di lavoro e dei periodi di riposo, nonché sulla retribuzione (sottosoglia rispetto ai minimi tabellari)”, condizioni di lavoro (anche notturno, come dimostrano i consumi elettrici) “particolarmente svantaggiose che si traducono in un vero e proprio sfruttamento”.
[14:55, 5/4/2024] Mario2: La ‘Giorgio Armani operations’ in amministrazione controllata. Un cinese inguaia decine di marchi di lusso
Giorgio Armani a fine sfilata in occasione della Fashion Week di Milano del 22 febbraio 2024
Nicola Marfisi / AGF – Giorgio Armani a fine sfilata in occasione della Fashion Week di Milano del 22 febbraio 2024
AGI – La sezione autonoma misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria di Giorgio Armani operations, societa’ del gruppo Giorgio Armani che produce e commercializza abbigliamento e accessori dei principali brand dello stilista. Il provvedimento e’ stato emesso nell’ambito di un’inchiesta per sfruttamento di manodopera dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e del nucleo ispettorato del lavoro dei Carabinieri sulle rete delle societa’ subappaltatrici di GA operations. La misura di prevenzione della durata di un anno non comporta – come precisa il Tribunale – “l’impossessamento degli organi amministrativi consentendo quindi alla societa’ la piena operativita’ sul piano imprenditoriale”. L’affiancamento dell’amministratore giudiziario Antonio Capiti dovrebbe portare la GA operations a implementare “un programma di riqualificazione degli assetti organizzativi interni idoneo a prevenire situazioni, nella filiera degli appalti e dei fornitori in generale, come quella accertata di sfruttamento dei lavoratori”.

“E’ fuor di dubbio che” la Giorgio Armani operations “non abbia mai effettivamente controllato la catena produttiva, verificando la reale capacita’ imprenditoriale delle societa’ con le quali stipulare i contratti di fornitura e le concrete modalita’ di produzione dalle stesse adottate e che sia rimasta inerte pur venendo a conoscenza dell’esternalizzazione di produzioni da parte delle societa’ fornitrici, omettendo di assumere iniziative come la richiesta formale della verifica della filiera dei subappalti o di autorizzazione alla concessione dei subappalti”: lo scrive il Tribunale di Milano nel decreto di amministrazione giudiziaria nei confronti della societa’ del gruppo Giorgio Armani a cui viene contestata una “condotta agevolatrice” nello sfruttamento dei lavoratori che producono in subappalto capi d’abbigliamento e accessori per i diversi brand. Dai sopralluoghi negli opifici che producono in subappalto borse e cinture per la Giorgio Armani operations, è emerso che erano attivi “per oltre 14 ore al giorno, anche nei festivi”. Un dato “che sta a significare che i lavoratori erano molti di più di quelli rinvenuti o che i pochi lavoratori erano sottoposti a ritmi di lavoro massacranti”. Inoltre, secondo le dichiarazioni messe a verbale dai lavoratori cinesi di un opificio, ci sono “paghe anche di 2/3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto minimo etico”.

Ma l’attenzione della magistratura non è rivolta solo alla Giorgio Armani Operations: anche altri grandi marchi della moda vengono chiamati in causa nel decreto con cui viene disposta l’amministrazione giudiziaria per la societa’ riconducibile allo stilista. Un lavoratore cinese mette a verbale le modalita’ di sub appalto alla produzione di cinture da parte della Minoronzoni srl. “Tutte le ditte cinesi – spiega – non devono figurare come aziende di produzione. Ricordo che dal 2003 al 2010 lavoravo come azienda ‘Confezioni Angela’ per la societa’ chiamata Minoronzoni di Bergamo. E’ una societa’ che ha attualmente la quasi totalita’ della gestione dei marchi di lusso per le cinture, le borse, le scarpe e portafogli. All’epoca la ‘Confezioni Angela’ dove lavoravo assemblava cinture dei noti marchi Zara, Diesel, Hugo Boss, Hugo Boss Orange, Trussardi, Versace, Emporio Armani, Alviero Martini, Tommy Hilfigher. Gucci, Gianfranco Ferre’, Dolce e Gabbana, Marlboro e Marlboro Classic, Replay, Levis e tanti altri che al momento mi sfuggono”.

Il testimone entra nel dettaglio. “La Minoronzoni ha contratti di appalto per la produzione delle cinture e dei prodotti, per questi contratti rimette direttamente la fattura agli stessi marchi come se la merce fosse stata prodotta e assemblata da loro stessi. Basti pensare questo: per ogni cintura confezionata alla Minoronzoni paga piu’ o meno 60 centesimi, il costo di manifatture e confezionamento. La Minoronzoni rimette poi il prodotto con apposita fattura ai committenti Guess, Versace, Armani eccetera con ricarico di materiale prodotto, manodopera e confezionamento e trasporto per circa 15 euro a cintura. Ovviamente la Minoronzoni non puo’ far risultare che l’assemblaggio e il confezionamento siano state fatte da altre aziende. Ricordo quando venne un’impiegata della Minoronzoni a Bergamo e ci fece nascondere, sia il sottoscritto che altri 3,4 imprenditori cinesi, in un angolo dell’ufficio a luci spente e chiuso da un separe’ perche’ quel giorno si presentarono degli agenti di controllo qualita’ di un marchio molto importante che non avemmo modo di scoprire o vedere che si trattasse e rimanemmo nascosti nel buio e poi ci fecero uscire solo quando gli agenti di controllo erano andati via”.

Per il Tribunale di Milano, “sarebbe opportuno avviare, riattivando analoghe iniziative poste in essere per esempio nel settore della logistica da parte della Prefettura di Milano, un tavolo che consenta in via ulteriormente preventiva di cogliere le criticita’ operative degli imprenditori” del settore della moda “che costituisce un settore di mercato di particolare rilevanza per il sistema economico nazionale”.

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